Alberi come corpi. Corpi come alberi fragili che si piegano all’arrivo del vento.
Sono passaggi interiori quelli realizzati da Egon Schiele, un’artista che nel ritrarre la dimensione autunnale, restituisce stati d’animo, luoghi dell’interiorità sopraffatti dalle dinamiche esterne.
Come accade in Autunno domenica e alberi (1912) in cui l’istinto alla vita è pulsione ostacolata dal vento che mette tutto a tacere, rendendo la comunicazione inattuabile. Quel turbinio interiore, allora, resta assopito, anziché manifestarsi. Schiele raccoglie elegantemente gli stati d’animo e la cronaca emozionale del proprio tempo, analizzandola, osservandola, sintetizzandola nelle sue figure emblematiche. Qui però non è l’essere umano, il protagonista della scena, come accade in gran parte della sua produzione, non direttamente o a livello figurativo.
Sebbene l’artista sia noto per le sue rappresentazioni dedicate alla figura umana, sono gli alberi che diventano metafora della condizione dell’essere in una stagione, quella autunnale, che è paesaggio e passaggio dell’anima. Uno scenario essenziale e fortemente evocativo, fatto di toni non aderenti alla realtà, eppure espressivi, e radicati alla concretezza di una vita che produce instabilità con le sue asprezze. Le linee si fanno contorte ed espressioniste, tormentate, nervose, emaciate.
Il suo è un tratto rapido e irregolare, tutt’altro che rassicurante, in grado però di tracciare immagini emozionali uniche, eloquenti, e dirette. Egon Schiele (1890-1918), è stato un pittore e incisore austriaco particolarmente attento alla realtà contemporanea. Nella sua breve vita, intensa e prolifica a livello artistico, si è rivelato un interprete della Vienna del suo tempo. La sua produzione si esprime in un arco cronologico di circa dieci anni, in cui realizza oltre tremila opere, tra dipinti, disegni, incisioni, acquerelli, litografie e sculture.
In particolare, sono i corpi umani, spigolosi e dai volti scarni e malinconici, a rappresentare una prova sperimentale per l’artista. Figure femminili, maschili, ma anche molteplici autoritratti che vengono colti in pose instabili, disarticolate. Anche i paesaggi e gli ambienti, come nel caso del paesaggio autunnale, sono però un aspetto particolarmente interessante della sua produzione. Sono linee disarticolate, che circoscrivono, incarnano e traducono gli angoli più remoti della vita europea di fin de siècle.
La natura diventa specchio dell’essere con la sua tristezza. Un’intensa malinconia che se non può essere comunicata attraverso le parole, può invece essere ritratta, trasfigurata, talvolta mostrata iperbolicamente, in segni grafici viscerali, respingendo costantemente canoni ed ideali estetici condivisi.
Un fascino inquieto e tormentato espresso in un linguaggio espressivo lineare che porta a rendere visibile ciò che non si percepisce in superficie. Più che una decadenza estetizzante, l’arte di Schiele è un tentativo di ritrarre drammaticamente l’esistenza, oltre il senso comune della bellezza.
Terre d’ombra, luci autunnali, radici, zone rossastre contro un cielo sfumato, privo di consistenza, divorato dalla presenza di alberi spogli in tensione costante. Sono i paesaggi dell’anima ritratti da Egon Schiele. Oltre la fisicità della materia diventa così possibile parlare di quel mondo interiore che tace, che resiste, si piega al tempo, e ci rende esseri umani.